En attendant Bébé – Protection de la santé sur le lieu de travail – Travaux interdits

Cosa significa lavoro “pericoloso”?

Per lavoro gravoso o pericoloso per le donne incinte e le madri in allattamento s’intende qualsiasi attività per cui l’esperienza attesta l’impatto pregiudizievole per la salute delle donne (incinte o in allattamento) oppure per i loro figli (art. 62 cpv. 3 OLL1).

Ai sensi dell’art. 35 cpv. 2 LL, l’ordinanza può interdire tali lavori – gravosi o pericolosi – o classificarli secondo specifiche condizioni. Sulla base di tale base giuridica, il Dipartimento federale dell’economia ha emesso l’ordinanza sulle attività pericolose o gravose rispetto alla gravidanza e alla maternità (ordinanza sulla maternità RS 822.111.52; art. 62 cpv. 4 OLL1).

Tale norma (art. 1):

Questa ordinanza tecnica peraltro è destinata a essere costantemente aggiornata e tenuta al passo con l’evoluzione del progresso della medicina del lavoro.

Lista dei lavori gravosi e pericolosi

Le seguenti attività sono considerati lavori gravosi e pericolosi (art. 62 cpv. 3 OLL1 e capitolo 2 Ordinanza sulla protezione della maternità):

Sollevamento di carichi pesanti (art. 7)

Durante i primi sei mesi di gravidanza, il sollevamento regolare di pesi maggiori ai 5 kg o lo spostamento occasionale di pesi maggiori ai 10 kg è considerato lavoro pericoloso. Lo stesso divieto vale altresì rispetto all’esercizio di forza per attivare – in ogni direzione – oggetti meccanici, quali leve o manovelle che corrispondano a tale sforzo fisico (sollevamento pesi superiori ai 5 rispettivamente ai 10 kg). A partire dal settimo mese di gravidanza, le donne incinte non devono più essere tenute a spostare pesi delle suddette dimensioni.

Posture (art. 9)

Ogni attività che impone movimenti o posture disagevoli e ripetuti – come ad esempio, il doversi stirare o piegarsi in modo significativo, restare accovacciati, sporgersi in avanti ovvero il dover restare immobili, senza possibilità di movimento – è vietata durante la gravidanza e durante le 16 settimane che seguono il parto.

Esempio di una postura suscettibile di comportare affaticamento precoce: in un’azienda (filiera) romanda le lavoratrici passavano il 40% del tempo di lavoro con le braccia sollevate. Simili condizioni di lavoro sono sconvenienti rispetto a donne incinte o che abbiano partorito, pur essendo del tutto accettabili per le altre lavoratrici.

Altro esempio : la gravidanza pone anche un problema rispetto alle insegnanti di ginnastica o di aerobica. Si consente che esse possano esercitare la loro attività fino al quinto mese di gravidanza, ma, al di là di tale termine, il datore di lavoro è tenuto a offrire loro un’altra occupazione, cosa che peraltro non sempre è possibile all’interno di piccole strutture.

Viceversa, per posizione statica s’intende il fatto di essere «seduti» o «in piedi», ma senza la possibilità di potersi muovere (liberamente). Mentre invece, come anticipato, la donna incinta deve potersi muovere piuttosto liberamente.

Choc, scosse, sobbalzi (art. 9 ult. parte)

Qualsiasi attività che implica l’impatto di choc, scosse, sobbalzi o vibrazioni è ritenuta
pericolosa e, quindi, vietata per la donna incinta.

Esempio: a parte la guida di macchine da cantiere, trail, martelli pneumatici e simili (che solitamente non prevedono presenza femminile), si pensi all’attività delle conducenti di camion, guide di viaggio o di canyoning, maestre di sci o cicliste (fuori pista).

Occupazioni particolari vietate (art. 16)

Qualsiasi attività che comporta esposizione a eccessiva pressione – come in camera di
compressione o immersioni – è vietata. Alle donne incinte è altresì vietato entrare in locali con un’atmosfera sotto-ossigenata.

Lavoro a cottimo e lavoro cadenzato (art. 15)

Il lavoro a cottimo o il lavoro cadenzato è vietato se il ritmo di lavoro è dettato da una
macchina o da un’installazione tecnica e non può essere regolato dalla lavoratrice stessa.

Freddo, caldo, eccessiva umidità (art. 8)

Qualsiasi attività esercitata a temperatura interna inferiore ai –5°C o superiore ai 28°C è vietata durante la gravidanza.

Nel caso in cui, invece, la temperatura è inferiore ai 15°C, la lavoratrice deve poter disporre di bevande calde.

Nel caso in cui la temperatura oscilla tra i 10 e i –5°C, l’esercizio dell’attività è subordinato alla messa a disposizione – da parte del datore di lavoro – di adeguato vestiario di protezione, adatto alla situazione termica e all’attività svolta.

L’ordinanza menziona tali temperature esclusivamente quali fattori di rischio rispetto alla donna incinta. Peraltro, anche altri fattori influenzano le condizioni di lavoro, ad esempio, l’umidità, il carico di lavoro, le correnti d’aria e simili. E’ noto che l’umidità – ad esempio – accentua la sensazione di freddo e di caldo, e nel freddo favorisce reumatismi e influenza. Il problema si pone soprattutto nell’industria alimentare, infatti, in fase di confezionamento per esigenti ragioni di igiene, si richiedono temperature sempre più basse (ad esempio, 7°C). Talvolta i lavori sono così delicati che non consentono di indossare neppure i guanti. In simili casi, il datore di lavoro dovrebbe consentire alla donna incinta di poter godere di pause sufficientemente lunghe in locali riscaldati.

Costruzioni sotterranee (art. 66 OLL1)

Le donne non possono essere impiegate in cantieri di costruzione sotterranei. Tale divieto vale per le miniere, vale a dire a imprese che si occupano dell’estrazione di sostanze minerarie nel sottosuolo che presuppongono necessariamente lavori sotterranei. Tale definizione esclude i tunnel.

Al divieto dell’impiego sotterraneo sono consentite deroghe, quando si tratta di:

Radiazioni nocive (art. 12 cpv. 1)

In caso di radiazioni, è estremamente importante seguire le direttive dell’impresa e di
settore.

Radiazioni ionizzanti: per le donne in gravidanza l’equivalente di dose alla superficie
dell’addome non deve superare 2 mSv, né la dose efficace in seguito a incorporazione 1Smv2 (test isotopici) (art. 36 cpv. 2 dell’Ordinanza sulla radioprotezione del 22 giugno 1994, ORaP, RS 814.501).

Sostanze radioattive (art. 12 cpv. 2)

Qualsiasi attività implicante contatto con attività radioattive costituisce un rischio di
assorbimento e di contaminazione e, pertanto, è vietata alle donne in allattamento (art. 36 cpv. 3 ORaP).

Esempi di test isotopici: tra le altre sostanze radioattive, vi sono quelle liquide che vengono iniettate nel corpo per evidenziare determinati organi a scopo di radiografia. In tal caso sussiste il rischio di assorbimento per la madre e, di conseguenza, per il bébé per dissolvimento/liberazione di atomi. I profili professionali in questione: le infermiere, le dottoresse, le tecniche di radiologia, le biologhe e le donne attive nell’ambito di determinati laboratori di ricerca o di specifiche industrie.

Rumori (art. 11)

Le donne incinte non devono essere esposte a livelli di pressione acustica >= a 85 dB(A) (Leq/8 ora).

Esempio: tale disposizione riguarda ogni attività – durante la gravidanza – esposta a un rumore tale (discoteca, musicista d’orchestra, industria), il cui eccesso è in grado di pregiudicare la regolare formazione del feto.

Microrganismi (art. 10)

Questa disposizione riguarda le sostanze classificate nei gruppi 2-4 dell’Ordinanza sulla protezione dei lavoratori dal pericolo derivante da microrganismi (OPLM, RS 832 321). Tale ordinanza contiene da una parte la lista dei microrganismi e dall’altra la loro classificazione in gruppi, in base al rischio che essi rappresentano per l’essere umano.

Per microrganismi – in questo contesto – s’intendono batteri, alghe, funghi, protozoi, virus e viroidi nonché culture cellulari, parassiti umani, prioni, e materiale genetico biologicamente attivo, al pari di miscele e relative sostanze ivi contenute (art. 2 lett. a) OPLM).

I microrganismi sono classificati in quattro gruppi di rischio: il gruppo 1 è quello che presenta un rischio pari a zero o comunque irrilevante, mentre il gruppo 4 riguarda microrganismi con elevato livello di rischio.

Per le attività che comportano rischi di contaminazione per via di microrganismi classificati nei gruppi 2 (rischio debole) a 4 (rischio elevato), occorre accertare se tali organismi costituiscano un pericolo particolare per la madre e per il bambino. Potendo essere fornita la prova che esclude un simile rischio, la donna incinta potrà esservi adibita.

A meno di fornire la prova di essere state immunizzate, le donne incinte e le madri in allattamento non possono essere adibite a mansioni che comportano contatto con microrganismi del gruppo 2-4, rispetto ai quali è noto il potenziale effetto dannoso rispetto al feto; danni quali la rosolia o la toxoplasmosi. Si pensi peraltro alle seguenti patologie: la tubercolosi, le malattie tropicali, la toxoplasmosi, la rosolia, l’epatite B o l’aids e le attività che comportano simili rischi di contaminazione.

Alla luce di queste considerazioni, qualsiasi attività nell’ambito di ospedali o in relazione a tossicodipendenze (aids, epatite B) ovvero a contatto con richiedenti l’asilo (tubercolosi) è vietata in via di principio. Per l’aids e l’epatite B, il personale applica le cosiddette «precauzioni universali». La toxoplasmosi e la tubercolosi pongono problemi particolari non esistendo misure che consentono di eliminare il rischio. Teoricamente, alle lavoratrici incinte o in allattamento occorrerebbe proporre altre occupazioni oppure, in sostituzione, il pagamento del salario per tutta la durata del divieto.

I settori che riguardano questo genere di attività sono, in particolare, la microbiologia, la farmacia e i laboratori di ricerca. Al contrario, sono autorizzate le attività che non comportano rischio di esposizione.

Sostanze chimiche (art. 13)

La Suva ha inviato all’attenzione degli specialisti della sicurezza del lavoro una lista dei valori limiti di esposizione applicabili in Svizzera, e che devono essere osservati, in
particolare rispetto alle madri (art. 50 cpv. 3 dell’Ordinanza sulla prevenzione degli infortuni (OPI, RS 832.30- www.suva.ch/waswo/1903).

E’ d’obbligo assicurarsi che l’esposizione alle sostanze tossiche che figurano in tale lista senza essere classificate A, B o D, sia inferiore a quella prestabilita. Sono particolarmente tossiche per la madre e per il bimbo:

Peraltro, tali sostanze sono frequenti in imprese di chimica o di biochimica dove però – generalmente – i lavoratori sono adeguatamente informati sui relativi rischi.

Conviene essere particolarmente attenti in altri settori di attività, quali ad esempio,
l’orologeria, dove vengono impiegati spesso solventi per la pulizia delle lenti e dove,
talvolta, le lavoratrici non sono necessariamente informate in ordine al rischio che tali
sostanze rappresentano per la gravidanza e l’allattamento.

E’ vietato adibire le lavoratrici incinte o che allattano in attività che le mettano a contatto con sostanze tossiche per il feto/bebè ; viceversa, sono consentite attività che escludano qualsiasi rischio d’esposizione.

Piombo e composti

Le attività che comportano rischi d’esposizione al piombo o ai suoi composti sono vietate alle lavoratrici incinte o in allattamento; viceversa, sono autorizzate attività che escludano qualsiasi rischio d’esposizione.

Esposizione a sostanze tossiche

Si tratta di attività che non consentono di stabilire l’innocuità dell’esposizione a sostanze tossiche, per la madre e per il bambino.

Le sostanze tossiche pongono problemi di etichettatura e della scheda tecnica di sicurezza dei prodotti (fiche). Per prevenire qualsiasi danno sull’uomo e sull’ambiente, i prodotti chimici costituiscono oggetto di regolamentazione molto dettagliata nella legge sui prodotti (chimici) e le relative ordinanze di applicazione (legge federale del 15 dicembre 2000 sulla protezione contro le sostanze e i preparati pericolosi (Legge sui prodotti chimici, LPChim).

Questa legge prevede disposizioni che impongono al datore di lavoro di assumersi le proprie responsabilità nel tutelare il personale per quanto concerne i prodotti chimici utilizzati in azienda. Una scheda tecnica (fiche) dei dati di sicurezza deve accompagnare ogni fornitura dei prodotti in modo che l’imprenditore disponga delle necessarie informazioni relative al prodotto e adottare, conseguentemente, le opportune precauzioni.

Nella grande industria, di regola le misure di sicurezza sono ben osservate e le informazioni circolano correttamente. Discorso alquanto diverso invece per le piccole e medie aziende – che, notoriamente, costituiscono la maggioranza delle imprese in Svizzera – dove purtroppo di frequente vengono disattese le prescrizioni di sicurezza in materia di prodotti tossici. E’ capitato di trovare – ad esempio – olio minerale nella bottiglia dell’acqua minerale, o del petrolio in una bottiglia di coca. Tale modo di operare non solo configura rischi di manipolazione, ma ancor più gravemente, fa correre il rischio ai collaboratori di ingerire prodotti gravemente nocivi.

Alla lavoratrice incinta o in allattamento occorre suggerire di richiedere le informazioni al datore di lavoro sui prodotti sui quali lavora; tali dati figurano sulla fiche di sicurezza che accompagna la fornitura di ogni prodotto tossico.

Nuovo sistema europeo di classificazione e di etichettatura dei prodotti chimici

A partire dal 2009, ed entro il 1° giugno 2015, l’Unione europea intende inserire progressivamente un nuovo sistema armonizzato di classificazione, di etichettatura e di confezionamento dei prodotti, strutturato a livello mondiale sotto l’egida dell’ONU.

Analisi dei rischi

Rispetto a ogni lavoratrice incinta, le imprese che comportano attività pericolose o gravose per la madre o il bambino ai sensi della seguente lista (vedi lista lavori gravosi e pericolosi) sono tenute a eseguire l’analisi dei rischi, rimessa a uno/una specialista della materia (art. 63 cpv. 1 e 2 OLL1).

L’analisi dei rischi deve precedere l’entrata in servizio della lavoratrice in azienda o nel
reparto di azienda che implica attività pericolose o gravose; l’analisi peraltro deve essere ripetuta ad ogni modifica significativa delle condizioni di lavoro (art. 63 cpv. 1 e 2 OLL1).

Lo specialista della sicurezza del lavoro consegna rapporto scritto (art. 63 cpv. 3 OLL1) in cui attesta:

I costi per l’intervento dello specialista della sicurezza sono a carico del datore di lavoro.

Se le misure proposte sono in grado di eliminare il rischio per la salute della madre e del bambino, tali misure sono da adottare in modo opportuno. La loro efficacia è verificata ad intervalli di tre mesi al massimo, mediante controllo medico della madre (art. 62 cpv. 2 OLL1).

Restare a casa, continuando a percepire il salario

Allorquando la protezione adeguata non può essere garantita, il datore di lavoro trasferisce la donna incinta o in allattamento a un posto equivalente, ma privo di rischi per il suo stato (art. 64 cpv. 3 lett. a e b OLL1):

Allorquando la protezione adeguata non può essere realizzata e non è possibile attribuire un lavoro equivalente, la donna incinta o la madre in allattamento – che non può essere adibita a mansioni gravose o pericolose – ha diritto all’80% del salario, ivi compresa l’eventuale indennità sostitutiva per la perdita del salario in natura (art. 35 cpv. 3 LL).

L’obbligo di pagare il salario si estende praticamente per tutto il periodo nel quale la
lavoratrice rischia l’esposizione pregiudizievole, quindi, non solo durante la gravidanza, ma – all’occorrenza – fino alla scadenza del termine di allattamento previsto dall’ordinanza (ad es., un anno per la radiologia).

Attenzione, il periodo di otto settimane che segue il parto costituisce oggetto di una
specifica regolamentazione (v. Il Bebè é nato – ritorno al lavoro – tutela della donna