Si tratta di un contratto ordinario, ma limitato nel tempo, ad esempio, tre mesi, o fino alla fine dell’anno, per il tempo di un’esposizione, per una stagione, per tutta la durata di assenza di una persona e simili. In quest’ultima ipotesi, la durata deve essere nota al momento della firma del contratto; altrimenti il contratto si considera a tempo indeterminato.
Il contratto a tempo determinato può essere stipulato a tempo parziale o a tempo pieno.
Le parti sono vincolate per tutta la durata del contratto e non possono mettervi fine, salvo che una delle parti non possa far valere un giustificato motivo di disdetta immediata. Alla scadenza, il contratto cessa automaticamente, senza che occorre comunicare alcunché (art. 334 cpv. 1 CO).
Gravidanza durante il periodo di prova
In generale, il tempo di prova riguarda più specificatamente i contratti a tempo indeterminato. In effetti, la prova serve a consentire a ciascuna parte di verificare se il rapporto è soddisfacente. In caso contrario, ciascuna parte deve poter mettere fine rapidamente al contratto prima di impegnarsi sulla durata.
Ma, sebbene strumentale al contratto a tempo indeterminato, nulla vieta alle parti di prevedere un periodo di prova rispetto al contratto a tempo determinato (che potrebbe anche essere di lunga durata).
In tal caso, trovano applicazione due principi: il tempo di prova non può essere superiore ai tre mesi e, in ogni caso, deve essere inferiore alla durata del contratto.
Maternità e cessazione del rapporto
Il contratto a tempo determinato cessa alla scadenza contrattuale, anche quando la
lavoratrice sia malata o incinta.
Maternità in corso di contratto
Se il contratto a tempo determinato è stipulato per più anni e la lavoratrice è incinta o partorisce in corso di contratto, ha diritto a tutte le prestazioni minime di legge (CO). A maggior ragione può beneficiare di eventuali prestazioni più favorevoli previste per contratto tipo o contratto collettivo.
Trasformazione del contratto a tempo indeterminato
Quando, alla scadenza del termine concordato, le parti decidono (verbalmente, per iscritto o per atti concludenti) di continuare il rapporto, il contratto si trasforma a tempo indeterminato (324 cpv. 2 CO). In tal caso, le disposizioni relative alla maternità – al pari del divieto di licenziamento – rinascono e la lavoratrice beneficia allora di tutti i diritti del contratto a tempo indeterminato.
Divieto di contratti «a catena»
Per contratti «a catena» s’intende una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
E’ possibile che alla scadenza di un contratto a tempo determinato, le parti decidano (verbalmente o per iscritto) di proseguire il rapporto di lavoro per un nuovo periodo determinato. Questa pratica non può essere ripetuta a volontà, a rischio di configurare un abuso di diritto (4C.22/2000 (d) del 27 giugno 2000 e ATF 117 V 248 del 19 giugno 1991).
Infatti, così facendo il datore di lavoro potrebbe eludere i suoi obblighi connessi alla durata del rapporto di lavoro, come quello del termine di disdetta in caso di licenziamento o di altre obbligazioni legali (pagamento del salario in caso di gravidanza o di maternità, diritto alle ferie e previdenza professionale obbligatoria).
Pertanto, quando il rinnovo del contratto a tempo determinato non si giustifica oggettivamente, ma interviene in un contesto fraudolento e abusivo, i diversi contratti che si susseguono si reputano costituire un unico rapporto e i diversi periodi si cumulano.
Quindi, si tiene conto della totalità dei periodi di lavoro per definire la tutela giuridica commisurata alla durata del rapporto, quali il termine di disdetta, il pagamento del salario in caso d’incapacità dovuta alla gravidanza o alla maternità e simili.
Esempi : «Il rapporto è stipulato per sei mesi e si rinnova di sei mesi in sei mesi; il termine di preavviso è di un mese da notificare per la fine di una settimana, conformemente al codice delle obbligazioni».
Il termine di preavviso si calcola in funzione della durata reale del rapporto di lavoro. In caso di licenziamento, la lavoratrice ha verosimilmente diritto a un termine più lungo; in questo esempio, l’accordo riveste il carattere di contratto a tempo indeterminato, per il fatto dei successivi rinnovi.
Ne consegue che, in caso di gravidanza, la lavoratrice è tutelata contro il
licenziamento o contro l’eventuale rifiuto di rinnovo (contrattuale) – sedicente a
tempo determinato – per tutta la durata della gravidanza e per sedici settimane
successive al parto.
In pratica si parla di «contratti a catena» rispetto a tre/quattro accordi consecutivi a tempo determinato.
Mora del datore di lavoro
Se il datore di lavoro impedisce, per sua colpa, l’esecuzione del lavoro (non è condizione di assicurare del lavoro) o è in mora per altre ragioni, è parimenti tenuto a pagare il salario senza che la lavoratrice debba fornire altre prestazioni (art. 324 CO).
Stesso discorso quando il datore di lavoro non può rifiutare la prestazione della lavoratrice per ragioni economiche, quali potrebbero essere la carenza di commesse, lo sfavorevole andamento del cambio o rischi d’insolvenza.
Tale regola è riconducibile al principio che il rischio è inerente all’attività economica a carico del datore di lavoro; questi, pertanto, non può dare disdetta del contratto di lavoro con effetto immediato per il solo fatto che si trova nell’impossibilità di procurare lavoro al dipendente. In simili casi, egli è tenuto a osservare i termini contrattuali per sciogliere il rapporto e, nel frattempo, continuare a versare il salario.
Sono del tutto illecite quindi, clausole quali «La direzione si riserva di sospendere in qualsiasi momento il lavoro a tempo indeterminato».